Google+ tecnoumanesimo: gennaio 2014

venerdì 31 gennaio 2014

Staudenmaier #2

Era il 25 agosto 1987 quando John Staudenmaier viene intervistato da Giuseppe Folloni al meeting di Rimini. Riporto la parte iniziale della sua relazione. Per il testo completo vedere qui.


Per cominciare, consideriamo l'elettricità all'inizio della sua origine, in quanto evento tecnico ed economico. Dal 1878 al 1882, Thomas Edison ha inventato il primo sistema di produzione elettrica nel mondo.

Da una prospettiva tecnica, la genialità di Edison si è esplicata in due modi. Prima di tutto il suo progetto è stato fatto nel primo laboratorio di ricerca e di sviluppo multidisciplinare. Qui è avvenuta l'invenzione di Edison, è proprio nel quadro di questo laboratorio che Edison con la sua comprensione della necessità, in una lampada, di filamenti, ha contraddetto praticamente cinquant'anni di ricerca nel campo elettrico, con un atto di creatività, di genialità tecnica storicamente incredibile.

Tuttavia cercarono di tornare indietro per un attimo. Da dove proveniva Edison? E chi ha fornito i finanziamenti per le sue ricerche? La culla da cui è nata la luce elettrica è stato l'enorme sistema telegrafico e ferroviario degli Stati Uniti, che ha avuto un enorme boom dal 1850. In effetti, le ferrovie richiedevano dei telegrafi, affinché vi fosse un flusso quasi istantaneo di informazioni, e dato che le ferrovie potevano generare delle quantità enormi di capitale, hanno stimolato le ricerche nel campo della tecnologia telegrafica. Edison ha guadagnato la sua fama inventando il telegrafo e i componenti del telegrafo. Ha utilizzato la sua fama per poter ottenere dei finanziamenti, e questi, con la sua perizia, sono stati la base della sua grande invenzione della luce elettrica.

Si potrebbe dire forse che l'elettricità non proviene semplicemente da un genio, ma piuttosto da un sistema tecnico-economico, e adesso sappiamo molto bene come accade...



Tuttavia l'invenzione di Edison è stata una cosa piccolissima, l'intero sistema copriva soltanto lo spazio di questa sfera. Ora questo non è sufficiente per capire quella elettricità che invece forma e modella la nostra vita. Vi è un ulteriore fattore tecnico-economico a cui dobbiamo fare molta attenzione: dovunque nel mondo l'elettricità è prodotta e venduta da grandi centri o reti, dalle grandi stazioni di generazione di luce con delle lunghe linee di trasmissione, e con molti utenti. Come è potuto accadere questo?

In particolare dobbiamo riconoscere che l'elettricità non può essere accumulata in grande quantità e in modo economico. Di conseguenza, ogni qualvolta utilizziamo la luce elettrica, accendendo una lampada, una radio, un computer, oppure azionando un ascensore, nel momento stesso in cui premiamo un interruttore, da qualche parte vi deve essere un generatore che comincia a girare più veloce, per poterci fornire la quantità di elettricità necessaria. Se chiediamo troppo alla elettricità che proviene da un generatore, questo continuerà a girare sempre più velocemente, più velocemente... fino al momento in cui si brucia, e a quel punto abbiamo il black-out. Ora per evitare questo fatto, è necessario disporre di un numero sufficiente di generatori per poter far fronte a quella domanda istantanea di maggiore utilizzazione del sistema. Ed è quello che chiamiamo la domanda picco, o il carico di picco.

Tuttavia i generatori sono estremamente costosi, e dato che sono così costosi, come si può fare per pagarli? In genere si ricorre a prestiti pagando un tasso di interesse. Come si può ripagare il prestito? Si vende elettricità. Supponiamo che si venda solo abbastanza elettricità per soddisfare un solo grosso picco al giorno, e poi che se ne venda molto poca, per il resto del tempo. Quindi è necessario avere i generatori in numero sufficiente per i momenti di picco e bisogna pagarli, ma per il resto della giornata restano inutilizzati. Di conseguenza le aziende elettriche hanno imparato come vendere non semplicemente la materia elettricità, ma piuttosto dei tipi particolari di uso dell'elettricità, che appunto venivano impiegati in momenti specifici della giornata.

Vorrei presentare un esempio molto semplice: negli Stati Uniti, nel 1920, se si guarda lo schema dell'utilizzo energetico, si vede una grossa caduta a mezzogiorno, nelle ore serali, ed anche nei week-end. Cioè quando le macchine delle fabbriche vengono spente, quando si utilizzano meno i carrelli elettrici. Di conseguenza, da parte delle aziende si è pensato: come potremmo vendere l'elettricità dei mezzogiorno?

Cosa fanno le persone a mezzogiorno? Mangiano. Benissimo, ecco allora delle cucine elettriche, molto moderne, e uno slogan adeguato: "Mamma, ma tu lasci uscire tuo figlio il pomeriggio avendo mangiato un pranzo freddo, forse la cucina elettrica ... ". Così erano le frasi pubblicitarie. Quindi si può dire che hanno venduto cucine elettriche per poter riempire questo "buco".

Ed è quanto è successo.

giovedì 30 gennaio 2014

Staudenmaier #1



Era il 26 agosto1987 quando John Staudenmaier, sacerdote della Compagnia di Gesù, storico della tecnologia autore dello straordinario saggio "I cantastorie della tecnologia", viene intervistato da Giuseppe Folloni al meeting di Rimini. Riporto solo la parte finale della sua relazione. Per il testo completo vedere qui.

(...) Adesso passiamo invece ai corpi sociali che girano intorno ai problemi dell'automobile. Ci sono veramente tre corpi sociali, tre gruppi di interesse che girano intorno al mondo dell'automobile.

1) Il primo gruppo è di coloro che hanno avuto una voce nella fase di progettazione, nella prima fase: se uno vuol capire come un progetto è venuto fuori, deve capire gli uomini che l'hanno creato, quali erano le loro abitudini, quali erano i loro sistemi di valore, qual era il loro accesso alle risorse finanziarie, alle risorse politiche, che importanza avevano. Senza questo non si capisce come è emersa l'automobile come progetto.

2) Il secondo gruppo è il gruppo di manutenzione, il corpo sociale che, quando una tecnologia ha successo, ne beneficia e finisce per dipendere da essa. Chi sarebbe la gente che fa parte dei gruppo di manutenzione oggi in Italia? Tutti i lavoratori che fanno automobili, che fanno la plastica per automobili, che fanno le gomme per le automobili ecc. E poi chi lavora nel settore assicurativo per l'auto, nei motels, nei punti di ristoro, chi progetta e costruisce le autostrade. Chi potrebbe vivere senza l'utilizzo dell'auto, per andare a lavorare, per fare la spesa ecc.? Tanta più gente fa parte del gruppo di manutenzione, tanto più potente è la tecnologia che l'ha creato.

3) Il terzo gruppo è il gruppo d'urto. Si tratta di coloro che subiscono danni a causa del modo con cui la tecnologia è stata progettata. Ad esempio nella città di Detroit, dove vivo, che ha circa le dimensioni di Milano, non ci sono quasi più mezzi di trasporto pubblico. Ma cosa succede alla gente che vive in Detroit e non ha i soldi per pagarsi l'auto? (...)

L'intero modello è un modello suggestivo per interpretare le tecnologie di successo all'interno d’ogni società. E’ un modello che è stato pensato per far capire che ci sono state delle scelte umane all'intero della tecnologia, che hanno avuto a volte dei buoni effetti e a volte dei cattivi effetti; quindi un modello fatto per reperire il punto d’inserimento dei valori umani nel processo tecnologico. Ma è anche progettato in modo tale da richiamare l'attenzione su come una tecnologia funziona, in modo tale che non siamo troppo bruschi, non siamo troppo precipitosi e faciloni nel pensare che sia facile cambiare una tecnologia.

La mia intenzione nel proporvi questa cosa, è quella che vi serva per capire le modalità possibili, realistiche, per poter influenzare le tecnologie che in questo momento sono di successo nella nostra società.

mercoledì 29 gennaio 2014

Risposta alla domanda focale n.4

La storia della Tecnologia, delle invenzioni, del cambiamento della qualità della vita delle donne, dei malati, dell’igiene quotidiana, che peso hanno nella formazione dell’adulto/lavoratore consapevole? E come insegnarla senza scadere nella pedanteria e nella noia?
con questo interrogativo si concludeva la domanda focale 4 di Ferdinando Riotta sul ruolo e sul peso della storia della tecnologia nell'insegnamento della tecnologia.

Sono convinto che:

a) occuparsi di tecnologia, come occuparsi di scienza, voglia dire anche conoscere e interessarsi della dimensione storica di questo sapere. Sia perchè il lavoro dello scienziato o del tecnologo vengono arricchiti in modo fondamentale da uno sguardo che abbraccia oltre al presente anche il passato, sia perchè la ricerca di nuove verità scientifiche o di efficaci soluzioni tecnologiche sarà più facile se esse si potranno confrontare (e competere) non solamente con la "popolazione" attuale ma anche con quella del passato.

b) la storia della tecnologia utile, anzi indispensabile allo studio della tecnologia è fortemente impregnata di conoscenze tecnologiche; è una storia capace di coniugare e di equilibrare la spinta (centrifuga) alla contestualizzazione sociale e la spinta opposta (centripeta) alla focalizzazione tecnica o tecnicistica. 

Rimane invece aperta l'ultima parte della domanda di Riotta su come si debba insegnare una tecnologia composta, e quasi 'impastata', della propria storia. 
Torneremo quindi su questo punto in un prossimo post.

venerdì 24 gennaio 2014

la storia per la scienza

Tra i problemi relativi alla formazione scientifica e alla didattica delle scienze, come anche alla formazione tecnologica, merita particolare attenzione quello del ruolo della storia: l’insegnamento della scienza o quello della tecnologia, possono prescindere da una prospettiva di tipo storico? Il problema potrebbe essere formulato anche nei seguenti termini: la formazione - intesa nella sua accezione più ampia - di uno scienziato o di un tecnologo può non comprendere anche significativi elementi di carattere storico e storiografico?

A giudicare dal modo in cui scienza e tecnologia sono generalmente insegnate nei diversi ordini scolastici si direbbe che la risposta a questa domanda sia di tipo negativo. D’altra parte sono diverse le voci di studiosi e ricercatori in vari ambiti che richiamano ad una riflessione più attenta e approfondita su questo argomento. Io sono convinto che sia nel giusto chi sostiene che vi siano fondate ragioni a favore di un significativo contributo della storia alla formazione scientifica e tecnologica; e che tali ragioni siano non solamente di tipo utilitaristico (la scienza e la tecnologia si apprendono meglio se calate all’interno di una prospettiva di tipo storico e critico) ma anche di tipo teorico (la scienza e la tecnologia sono - sempre di più - processi in continuo movimento, e l’attività scientifica non può prescindere da una componente storica).



1) Nella scienza nulla è mai deciso, scrive Dario Antiseri in un suo recente saggio riprendendo le osservazioni di Paul K. Feyerabend intorno alla fondamentale utilità della storia della scienza nel lavoro dello scienziato: “nessuna concezione (presente o passata, ndr) può mai essere lasciata fuori da un’esposizione generale”. Infatti il movimento dell’impresa scientifica non di rado ha conosciuto l’abbandono di talune teorie e la loro (sbrigativa e rivelatasi poi inopportuna) sostituzione con spiegazioni in quel momento più fortunate. Al contrario è una sana proliferazione di teorie in competizione, attinte anche dal passato, a rendere possibile la scoperta scientifica così come l’innovazione tecnologica. Più sono le teorie, vecchie e nuove, in competizione con una teoria dominante - osserva ancora Antiseri - maggiore diventa la possibilità di trovarne una migliore di quella dominante, o la possibilità che quest’ultima addirittura si rafforzi.

2) Un altra importante ragione a sostegno di un rafforzamento della dimensione storica nell’educazione scientifica e tecnologica fa riferimento alla didattica ed è rappresentata dalla sua indubbia valenza motivazionale. Le teorie scientifiche infatti sono risposte a domande e compito fondamentale della didattica della scienza è di inquadrare e contestualizzare adeguatamente tali problemi. E’ camminando per i sentieri della storia - osserva ancora Antiseri - che i ragazzi incontrano i problemi che hanno richiesto soluzioni. Una teoria scientifica o tecnologica assume, se guardata in questa prospettiva, un senso e un valore, e il suo studio risulta più motivato e quindi motivante.

Inoltre, e per concludere, un approccio storico all’impresa scientifica e tecnologica potrebbe rappresentare un elemento di avvicinamento e di integrazione tra la formazione scientifica e quella tecnologica, scongiurando il rischio che la necessaria distinzione tra le due modalità di conoscenza degeneri in una sterile quanto improbabile separazione.

lunedì 20 gennaio 2014

scienza e scienze applicate

Che sono sono la scienza e la tecnologia? E in che relazione stanno tra loro? Per cominciare la nostra riflessione intorno al rapporto tra scienza e tecnologia possiamo porci come primo problema quello di trovare risposta a queste domande fondamentali. Iniziamo con l’osservare che i termini scienza e tecnologia sono certamente termini molto usati e quindi anche molto usurati: essi vengono impiegati nei contesti più disparati e assumono di conseguenza una gamma altrettanto ampia di possibili significati. In alcuni casi i due termini vengono utilizzati in modo correlato indicando una relazione, un nesso, un rapporto: date le finalità di questo lavoro, dedicheremo particolare attenzione proprio alle situazioni di questo tipo.

Esaminiamo per cominciare il frequente impiego della coppia di espressioni ‘scienze’ e ‘scienze applicate’, largamente utilizzate anche in ambito scolastico (vedi “liceo delle scienze applicate”, ecc). Il modello di organizzazione del sapere sotteso a queste espressioni ha una struttura bipolare: da una parte la ricerca di leggi generali, universali; dall’altra la previsione - mediante un opportuno impiego di tali leggi - di specifici eventi e fenomeni oppure la progettazione e realizzazione di particolari artefatti, materiali o immateriali. A ben vedere questo modello presenta anche una seconda qualità, che tra poco sarà sottoposta a critica: la unidirezionalità. Infatti esso è tutt’uno con l’idea che sia unicamente la scienza, qualunque cosa si voglia intendere con tale termine, a fornire risorse conoscitive alla tecnologia, impegnata quest’ultima nelle (conseguenti) applicazioni pratiche (vedi schema 1).

schema 1 - modello lineare

scienza ===> tecnologia

Una osservazione prima di procedere. La distinzione prima discussa tra scienze e scienze applicate si basa sul modello di organizzazione del sapere elaborato da Aristotele, e particolarmente sulla sua distinzione generale tra scienze teoretiche, da una parte, e scienze pratiche e poietiche, dall’altra. Se le prime ricercano il sapere per sè medesimo, le seconde ricercano il sapere per raggiungere attraverso esso la perfezione morale (scienze pratiche) oppure la produzione o realizzazione di artefatti (scienze poietiche). Benchè in linea generale la sua elaborazione concettuale risulti abbastanza comprensibile e accettabile, è anche vero che l’applicazione della suddivisione del sapere inventata da Aristotele alla realtà odierna richiede una delicata opera di trasposizione tra le categorie concettuali del tempo e quelle di oggi. Se quindi la distinzione tra scienze e scienze applicate appare come una attualizzazione del modello di Aristotele, nello stesso tempo non ci pare particolarmente fedele alla sua - ancora valida, riteniamo - sistemazione concettuale dei diversi ambiti del sapere.

Se in un passato non troppo recente questo modello poteva avere una sua utilità sotto il profilo semantico, al giorno d’oggi risulta applicabile solo in casi e situazioni circoscritte, più difficilmente ad un livello generale. Infatti lo svolgersi dell’attività scientifica e tecnologica, un tempo effettivamente distinte, avviene oggi in modo tale da rendere possibile solamente una distinzione concettuale - per quanto utile - tra il momento scientifico e quello tecnologico. Infatti sono tali e tanti gli apporti che le due componenti forniscono e ricevono vicendevolmente da far pensare più ad un unico tipo di attività, benchè articolato, piuttosto che ad attività realmente separate. E’ significativo quanto afferma Alec Broers (http://en.wikipedia.org/wiki/Alec_Broers,_Baron_Broers):

“Non tenterò di dare una definizione precisa dei termini ‘scienza’, ‘tecnologia’, ‘ingegneria’ e ‘innovazione’; anzi, in alcuni casi li userò indifferentemente come sinonimi. Credo, in questo modo, di riflettere fedelmente la realtà. Scienziati, ingegneri e innnovatori sono tutti in un certo senso produttori di scienza, e tutti gli ingegneri e gli scienziati sono sempre innovatori. E’ difficile distinguere il punto in cui la scienza applicata diventa ingegneria o tecnologia. (...) Molti ingegneri sono convinti che sia l’ingegneria a rendere utile la scienza, ma d’altra parte anche gli scienziati sono sicuri di fare altrettanto. A me un dibattito del genere sembra un’inutile perdita di tempo: è evidente che entrambe la categorie svolgono un compito fondamentale”.

Questo secondo modello, che mantiene una distinzione concettuale tra l’attività scientifica e quella tecnologica ma in cui sono messi in evidenza i nessi di reciproco scambio e condizionamento, può essere ben rappresentato dallo schema seguente (vedi schema 2)

schema 2 - modello circolare

scienza ===> tecnologia
|| ||
tecnologia <=== scienza

(1 - continua)

domenica 19 gennaio 2014

Aristotele

Treccani, l'enciclopedia italiana
Enciclopedia dei ragazzi

Aristotele La mente filosofica più universale dei Greci
Se il filosofo è colui che 'ama il sapere', Aristotele ‒ vissuto in Grecia nel 4° secolo a.C. ‒ ne ha rappresentato la massima incarnazione. La sua attività di ricerca è stata prodigiosa: si è occupato di metafisica, fisica, biologia, psicologia, etica, politica, poetica, retorica e logica, lasciando in ognuno di questi campi un'impronta indelebile

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lunedì 13 gennaio 2014

Storia della Tecnologia e approccio SCOT


La storia della tecnologia raramente si interessa delle tecnologie che non hanno avuto successo, che non hanno vinto la competizione e non si sono affermate nella società. Il racconto lineare, progressivo, dell'evoluzione tecnologica fornisce una visione superficiale dei meccanismi che portano le tecnologie ad affermarsi su quelle concorrenti; quasi sempre è stato questo approccio a dominare nelle formazione e nella educazione tecnologica di base, preoccupata più di mostrare il funzionamento della tecnologia operante invece che di fare luce sulle dinamiche di "selezione" tecnologica. Per comprendere la tecnologia dobbiamo abbracciare con lo sguardo anche la società e tutti gli attori che in essa giocano ruoli significativi: istituzioni, formazioni politiche, mezzi di comunicazione, portatori di interessi economici, ecc.

La teoria della "costruzione sociale della tecnologia" - o SCOT - rappresenta un approccio allo studio della storia della tecnologia fondato sui rapporti di ogni fatto tecnologico con il contesto sociale a cui fa riferimento. L'insegnamento della tecnologia nella scuola di base può essere significativamente arricchito da un approccio come quello SCOT; le modalità attraverso cui la didattica della tecnologia se ne possa utilmente avvalere rimangono in gran parte da investigare.

Tra i rappresentanti più significativi di questo importante filone di studi si possono segnalare: Wiebe Bijker, Trevor Pinch, Wiebe E. Bijker. Un testo molto accessibile e utile per un inquadramento generale dei principali problemi è senz'altro "La bicicletta e altre innovazioni" di Wiebe E. Bijker, McGraw Hill, 1998 (informazioni su tecalibri: http://tecalibri.altervista.org/B/BIJKER-WE_bicicletta.htm)